MORNING, SIR

Quasi nessuno conosce l’Alpina, e quei pochi che l’han sentita nominare pensano sia la copia di una Bmw della divisione M in versione ‘vecchio signore’. Ma per fortuna la verità è un po’ diversa.

Non è facile parlare di Alpina, un marchio che – specialmente da noi – è conosciuto quanto la neve in California: alcuni se ne escono con “Ah sì, l’Alpine, quella francese”, altri pensano di aver davanti una Bmw con le scritte sbagliate e nel peggiore dei casi degli sconosciuti cercheranno di convincervi che si tratti di un’ottima marca di scarponi. C’è un po’ di confusione insomma. A voler complicare le cose il marchio non si chiamerebbe solamente ‘Alpina’ ma ‘Alpina Burkard Bovensiepen GmbH & Co. KG’ dato che quel signore dal nome impronunciabile è stato l’ambizioso fondatore del marchio che oggi è considerato – perlomeno in Germania – la perfetta alternativa a Bmw. Ma la questione più complicata quando si tratta delle Alpina è… perché comprarla? Perché scegliere una B3 S al posto di una leggendaria M3 E46 o una B5 Bi Turbo invece di una M5 visto che agli occhi di un profano sembrano praticamente la stessa auto, se non meno sportiva? A confronto scoprire il senso della vita sembra la questione più stupida del mondo, eppure passare qualche ora insieme ad un’Alpina riesce a farvi giungere (quasi) facilmente alla risposta. Prima però serve un po’ di noiosa storia. Il brand tedesco fu fondato a Kaufbeuren nel 1965 dal nostro amico con la doppia B – che tutt’ora è a capo dell’azienda – e fin da allora lo scopo fu quello di rendere non migliori, ma differenti, le vetture prodotte da Bmw.

Nel 1962 infatti Bovensiepen apportò delle modifiche alla sua 1500 montando un doppio carburatore Weber ed un diverso albero a camme per incrementare la potenza, ed il risultato fu così intrigante che la stessa Bmw decise di vendere le sue vetture montando quel preciso kit, persino coperto da garanzia. Il primo Gennaio del ’65 nasceva così l’Alpina che dopo soli cinque anni era passata da otto dipendenti a ben settanta, tutti specializzati nell’elaborare le berline tedesche, e negli anni successivi vinse diverse competizioni dominando addirittura l’European Touring Car Championship e la 24 Ore di Spa. Nel 1983 l’Alpina divenne così importante che il Ministero tedesco dei Trasporti la riconobbe un marchio automobilistico a sé, e non una semplice azienda di tuning come generalmente capita, anche se legata a doppio filo con Bmw. Alpina infatti una volta assemblato a mano il motore manda il propulsore a Bmw che lo piazza nella vettura e rispedisce il tutto a Buchloe (sede attuale) per gli ultimi ritocchi. E qui il bandolo della matassa… cosa cambia precisamente in un’Alpina? Parecchio in realtà. Rispetto alla controparte bavarese l’Alpina punta da sempre sul lusso, sulla raffinatezza, sull’esclusività e sul comfort di guida grazie ad un assetto più dolce, con motori ugualmente potenti ma messi a punto per avere un’erogazione più lineare e una maggior quantità di coppia. Gli interni guadagnano pellami pregiati, dettagli e cuciture ricercate con toni eleganti mentre all’esterno troverete i meravigliosi cerchi a venti razze con valvola nascosta (segno distintivo della casa), splitter anteriore con la scritta Alpina, carrozzeria verniciata in Blue o Green Alpina e le immancabili decalcomanie che percorrono tutta la fiancata. Vedetela così: pensate ad una Bmw M4 Competition come ad un americano casinaro che fa burnout ad ogni occasione mentre alla B4 BiTurbo come ad un Lord inglese che beve thè sollevando il mignolo e vestendo Burberry ma che non disdegna ogni tanto una tirata lungo le B roads. Ecco, quelle sono le Alpina.

Inoltre quest’ultime hanno il vantaggio di non essere autolimitate a 250 km/h (comodo quando siete in ritardo e quei 305 km/h possono fare la differenza) e soprattutto… di essere prodotte con carrozzeria Touring. Mentre Bmw ha abbandonato da anni le station wagon marchiate M la Alpina continua a produrre gioielli come la B3 Touring (una Serie 3 Station biturbo con 462 cavalli, 700 Nm di coppia e un affascinante verdone) o la B5 Touring, un mostro da 600 cavalli e 800 Nm prodotti da un 4.4 litri biturbo che però può tranquillamente portare a passeggio voi, la vostra dolce metà, un paio di pargoletti e il fidato cane. Se fate parte di coloro che hanno pianto dopo la dipartita della M5 Touring E61 l’Alpina potrebbe farvi tornare il sorriso. Carrozzeria Touring a parte, anche qualcosa di meno moderno come l’Alpina B3 S E46 di oggi impiegherebbe poco a rallegrarvi grazie a tante qualità. Prima di tutto gli interni: bellissimi da vedere, ben rifiniti, comodi, lussuosi ma non dozzinali o inutilmente scenografici come accade spesso oggi; avete un semplice volante a tre razze, tre pedali e un cambio manuale avvolti da un’atmosfera rassicurante e curata. Poi avete un look davvero azzeccato fra splitter, cerchi da 18’’, adesivi Alpina e un profondo blu per la carrozzeria che fanno risaltare la B3 S in mezzo al traffico senza risultare pacchiana o volgare. Infine la meccanica: il sei cilindri in linea a differenza della M3 è stato portato a 3.4 litri ma con 305 cavalli anziché 343 e con un’erogazione più morbida e lineare, perlomeno sotto i 4.000 giri, unito ad un cambio manuale a sei marce e alla classica e comodissima pedaliera con l’acceleratore incernierato in basso.

Dopo un po’ di tempo che guidate la B3 S dentro di voi inizia ad insinuarsi – volenti o nolenti – la filosofia Alpina, quel significato profondo che pareva incomprensibile all’inizio ma che piano piano comincia ad avere un senso. La posizione di guida è ottima per una berlina, il sound sotto i 3.000 giri è morbido e pacato e le sospensioni collaborano bene con l’asfalto per farvi sentire coccolati e tranquilli, e in più siete al volante di un’auto prodotta in numero limitato (149 in questo caso, di cui solo 52 con cambio manuale) come vi ricorda orgogliosa la targhetta sul tettuccio. Lato GT/esclusivo promosso quindi. Le cose però diventano più interessanti quando iniziate a importunare il pedale destro: non pensiate che tutta questa raffinatezza abbia filtrato o snaturato il carattere di una E46 perché è proprio qui che Alpina riesce nel connubio perfetto. Il sei in linea sopra i 3.500/4.000 giri diventa più graffiante e allunga felice ben oltre i 6.000 guadagnando una velocità ragguardevole, lo sterzo è preciso e diretto (un po’ troppo stretto lo spazio per i pollici ma questa gliela perdoniamo) e tutto il telaio è più agile di quanto potreste immaginare. Il cambio che ad andatura pacata era duro e poco scorrevole – imperfezione che sorge col crescere dei chilometri – al salire dei giri diventa fluido, incisivo e veloce e soprattutto vi offre la scusa perfetta; “desolato, sono uscito di traverso a 5.000 giri da quella rotonda per far felice il mio cambio” suona bene vero?

La frizione è modulabile e con il giusto peso mentre i freni hanno una corsa lunga e un’azione potente ma progressiva cosa che è sempre ben accetta per il punta tacco. L’unico aspetto piuttosto sofferto sono le sospensioni, molto buone a bassa andatura o in autostrada ma che nella guida impegnata faticano a tenere il passo delle crepe e degli avvallamenti dell’asfalto risultando troppo rigide nei punti più rovinati, ma un po’ daremo la colpa all’età e un po’ alle strade italiane. Il lato più affascinante della B3 S però è il suo carattere: motore anteriore, trazione posteriore, erogazione lineare e acceleratore dalla corsa lunga insieme ad un telaio bilanciatissimo significano avere un equilibrio naturale fantastico che vi permetterebbe di fare qualunque curva di traverso senza reazioni brusche o irregolari, anche se il meglio sarebbe poterla guidare su qualche ampio passo di montagna stando poco sotto i suoi limiti, altrimenti da lì in poi si entrerebbe in territorio ‘M3 E46 guida criminale’. La B3 S è valida proprio per questo: non è cattiva come una M3, non gira così in alto e non è così rabbiosa o nuda e cruda, ma raccoglie buona parte di quello spirito e lo infiocchetta in un pacchetto più distinto, elegante, raro e sfruttabile. E non è cosa da poco.

Grazie a Nicola per avermi prestato la sua adorata Alpina 

di Tommaso Ferrari